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Uomo e Architettura
L'architettura è dappertutto
Paesaggi Minimi e paesaggi domestici
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L'architettura è dappertutto
Paesaggi Minimi e paesaggi domestici
Davide Pagliarini
Architetto
L'architettura è dappertutto
Se si vuole descrivere un luogo, descriverlo completamente, non come un'apparenza momentanea ma come una porzione di spazio che ha una forma, un senso e un perché, bisogna rappresentarlo attraversato dalla dimensione del tempo, bisogna rappresentare tutto ciò che in questo spazio si muove, d'un moto rapidissimo o con inesorabile lentezza: tutti gli elementi che questo spazio contiene o ha contenuto nelle sue relazioni passate, presenti e future. (1)
In mezzo alla produzione edilizia di routine, alla miriade di costruzioni che si accumulano nei territori del nostro quotidiano, all'omogeneità di tipi e strutture da un lato e all'esasperata ricerca della loro originalità dall'altro (2) sta l'architettura. Più che stabilire quantità e proporzioni - ambito della statistica - o giudizi di valore - ambito della morale - ci interessa capire come riconoscerla, provando a tracciarne i confini, parziali e incompleti.
Una constatazione preliminare. I manufatti - una casa, una scuola, un mercato, una fabbrica, un tempio - sono costruiti per l'uomo. Vi si riflettono i caratteri di un ambiente, vi si intrattengono relazioni formali e informali, vi si custodiscono gli affetti, vi si ritrovano ad ogni ritorno i propri riferimenti. Ciò avviene per qualsiasi costruzione, inconsapevolmente o per quello che la vita con le sue consuetudini e le sue dedizioni vi insinua. Nell'architettura tutto questo è atteso, sperato, cercato pazientemente.
Scopo dell'architettura è intensificare la relazione tra il soggetto che ne è ospite e il mondo. Anche se non costruita - come una villa di Mies di cui fu realizzato soltanto un modello fatto di tessuti bianchi tesi in un prato - l'architettura presuppone per nascita l'esistenza di un progetto. Le sue condizioni di esistenza sono la funzione, il programma, la scala, la proporzione. Essa ha sempre uno scopo, un'utilità, sia essa frugale o celebrativa. Ma all'utilità aggiunge una tensione, un'atmosfera, una presa sull'esistenza umana che non è solo la bellezza derivante dall'applicazione di un canone a determinare. Non sono le dimensioni a conferirle un carattere sommesso o monumentale - cosa distingue una villa da un cenotafio? - ma le relazioni tra le sue parti (3). È questo a far sì che una stanza alta otto metri, come a villa Emo (4), sia più confortevole e intima del più piccolo dei recessi domestici.
Cosa è allora architettura?
L'architettura è un precipitato, in essa si sedimenta e si compie la vita. È contemplazione della luce e dei colori. È "silenzio eloquente". È il manifesto di un'epoca, interpreta lo spirito del suo tempo, superandolo quando accoglie nuovi usi restando se stessa. Nell'architettura si compie una trasformazione che fa di un territorio un luogo. Per questo l'intensità di quella particolare esperienza che chiamiamo abitare perdura nel tempo e, nei suoi esiti più felici, oltrepassa le istanze di una singola esistenza, di uno specifico programma o funzione.
Anche un manufatto minimo, un bivacco in alta quota, una stalla, una mangiatoia, è terreno fertile per praticare l'architettura. Hugo Häring ha scritto una lezione memorabile a riguardo facendo la fattoria Gut Garkau e Pino Pizzigoni una porcilaia a Torre Pallavicina, nella bassa vicino a Soncino.
Ma c'è una proprietà che più di altre ci interessa indagare, per le connessioni dirette con il territorio della città di Bergamo e per la peculiare collocazione ambientale delle sue architetture. A differenza di una costruzione qualunque, l'architettura entra in risonanza con il suo intorno.
Un precedente. La piccola casa che Giorgio Grassi costruisce nel 1962 a Vello di Marone, sul lago di Iseo. Una costruzione modesta, un prisma intonacato. Eppure un efficacissimo dispositivo per comprendere la scala delle montagne, per dare un ordine all'esperienza di uno spazio altrimenti sconfinato e imprendibile. Quando la si osserva dalla sponda opposta o la si raggiunge dall'acqua, il segno che introduce all'orizzonte diventa un'unità di misura. Stabilisce un rapporto proporzionale tra l'uomo e l'ambiente naturale. Questa piccola casa traduce, rendendolo intellegibile, l'intervallo che sta tra lo spazio intimo della vita quotidiana e il fronte delle pareti rocciose.
In tale correlazione, tra il domestico e il geologico, riconosciamo l'essenza del paesaggio.
Tenteremo, non senza difficoltà, un avvicinamento all'architettura attraverso lo spazio che la circonda più da vicino, attraverso cioè quel paesaggio ad essa più familiare e che essa stessa contribuisce a trasformare e connotare con la propria presenza fisica. Sorretti dalla convinzione che se il paesaggio può esistere anche senza l'architettura (nella pittura, nella fotografia), l'architettura non può esserci senza paesaggio.
Paesaggi vivi
Del termine paesaggio sono state fornite innumerevoli definizioni, appartenenti agli ambiti delle scienze fisiche (scienze naturali, urbanistica), delle scienze sociali (antropologia, sociologia), della letteratura (luoghi dell'invenzione, dell'immaginario e dell'utopia) e delle arti applicate.
Tradotto nelle diverse lingue latine e anglosassoni, il termine paesaggio presenta un'ampiezza di declinazioni e valenze che ne rende impossibile qualsiasi riduzione. Di volta in volta esso assume il significato di villaggio (pagus), veduta, forma, rappresentazione o percezione di un territorio (paysage, paisaje, paesaggio), insieme di caratteri culturali, saperi e pratiche (milieu), sistema di ecosistemi, territorio amministrato (landschaft, landshap), entità fisica oggetto di pianificazione e progettazione (landscape).
Nella sua forma più elementare il paesaggio è un orizzonte che ci è semplicemente dato, "... è quello che hai di fronte agli occhi, è la cella per il prigioniero, la stanza d'ospedale per il malato" (Ermanno Cavazzoni, 2008). Con l'aumentare della complessità delle società contemporanee esso diventa proiezione di un desiderio, realizzazione di un sogno, risarcimento per una perdita, evasione e fuga da una condizione di insicurezza.
Esistono definizioni di paesaggio solide come teoremi, intrise di oggettività, sorrette dal senso comune. Ne esistono altre parziali e incompiute. Alcune possono tuttavia concedersi di esserlo senza dimostrarsi deboli o deficitarie di fronte alle prime. A questa seconda specie appartengono le definizioni che sono state tracciate attraverso il linguaggio silenzioso delle immagini e delle cose - gli oggetti, i manufatti, le architetture. Queste definizioni di paesaggio sono incompiute perché si fondano su un approccio empirico e sperimentale, si affidano alle cose e alla loro vita nel corso del tempo. Le cose, e tra esse le architetture, non sono entità immutabili risolte in se stesse, non sono separabili dalla materia vivente con cui sono state prodotte. Hanno una vita, registrano lo scorrere del tempo, subiscono alterazioni, invecchiano, scompaiono.
Tra gli ambiti disciplinari che di paesaggio si sono occupati sono forse le arti applicate - tra esse l'architettura - ad avere indagato con maggiore insistenza quella dimensione più intimamente connessa con il praticare un territorio e con l'esserne parte. Ci si muoverà entro i confini di queste ultime, esplorando lo spazio dell'architettura costruita - in particolare quella domestica - per indagare quali sono i fattori che ne determinano il carattere site-specific e subordinato alla natura.
Praticare il paesaggio
Più che riguardare la rappresentazione di un ambiente, interpretazione successiva all'esperienza, il paesaggio è innanzitutto una pratica: l'esperienza che facciamo di esso è l'esito di un processo di avvicinamento. Lo si attraversa raccogliendovi indizi.
Avvicinarsi al paesaggio presuppone la consapevolezza di aver a che fare con un'entità viva, la cui esplorazione può essere condotta avanzando per gradi di libertà decrescenti: attraversamento, sguardo, analisi, interpretazione, trasformazione.
Essere lì, immersi nella luce di un pomeriggio autunnale, in una radura improvvisa tra il bosco di aceri, cornioli, sanguinelle, cerri, roveri e roverelle, olmi campestri, sambuchi, e i terrazzi coltivati a peri, fichi, noccioli vicino alle cascine. Nell'aria l'odore dolce degli ultimi frutti rimasti a marcire sugli alberi.
Dove l'eco della città tace, dove è più intenso il silenzio, l'esperienza del paesaggio si fa più persistente. Praticare il paesaggio significa partecipare al compiersi di un istante per scorgervi piccole epifanie tra le cose che semplicemente stanno.
Questa relazione intima e affettiva tra esperienza e paesaggio trova espressione nella parola Stimmung - letteralmente "stato d'animo", "atmosfera" - che, nelle parole di Alois Riegl, esprime un rapporto di partecipazione del soggetto al mondo: " (…) il contemplatore solitario immagina che, al di sopra dei contrasti, simulati da vicino dai suoi sensi imperfetti, qualcosa di inconcepibile, un'anima del mondo attraversi tutte le cose e le congiunga in perfetta armonia. Questa idea dell'ordine e della legalità al di sopra del caos, dell'armonia al di sopra delle dissonanze, della quiete al di sopra dei moti, la chiamiamo Stimmun, atmosfera". (5)
Attorno alla casa. Paesaggi minimi e vita domestica
L'occasione per riflettere sull'esistenza di un terreno di incontro fecondo tra paesaggio e architettura nei termini fin qui riassunti si è manifestata con una ricerca condotta nel 2009 sui paesaggi a piccola scala nell'ambito urbano della città di Bergamo, denominata "Paesaggi minimi". (6)
I paesaggi minimi sono una somma di habitat minuti e di particolare pregio botanico e naturalistico, distribuiti come isole di un arcipelago all'interno o ai margini del tessuto urbano.
A definirli sono specie botaniche autoctone e manufatti architettonici in stretta relazione tra loro. Generatisi grazie alla presenza di manufatti umani quali muri in pietra, siepi e confini boscati, sistemazioni idrauliche minori, le cui caratteristiche morfologiche e costruttive li rendono substrati per una vegetazione strutturata e di pregio, i paesaggi minimi costituiscono dei circoscritti avamposti di penetrazione delle specie in ambito urbano, annunciando così una "botanica della resistenza" (7). La loro presenza diffusa è in grado di determinare ecosistemi peculiari e stabili, in continuità con gli ambienti ad alta naturalità dei boschi e delle colline che lambiscono la città.
Quella sui paesaggi minimi è un'indagine sull'intorno più prossimo alla casa, habitat "rifugio per la biodiversità" (8) compiutamente espresso in pochi passi e coglibile da una distanza ravvicinata, da uno sguardo partecipante.
La loro esplorazione si compie attorno agli interni domestici ed è rivolta a sondare la relazione tra le comunità vegetali e l'ambito privato della casa, simbolo di stanzialità, luogo di vita. Case come finestre sul paesaggio e sul mondo. Confini tra dentro e fuori dotati di profondità. Spazi ibridi in cui lo stare dentro e fuori si confondono e si intersecano. Negli habitat di margine le piante si trovano a proprio agio entro lo spessore di quegli stessi confini che, separando domini certi e codificati, proteggendo e isolando il privato dal pubblico, danno vita ad un terzo spazio, interstiziale, posto tra una casa e una strada, lungo una sponda, un argine. Ciascun confine del costruito, sia esso un tetto, un muro, una soglia, una siepe, un passaggio, un giardino, uno spazio aperto con la funzione di filtro, può diventare occasione per incrementare la presenza della vegetazione.
Se la casa è un interno assimilabile a un microcosmo scomponibile nei suoi sottomultipli, la pittura belga e olandese del Seicento ne ha descritto minuziosamente la complessità e l'articolazione. Negli interni fiamminghi non si ritrova un punto prospettico univoco da cui guardare la scena, lo spazio domestico si moltiplica, procede per ingrandimenti successivi che scoprono profondità caleidoscopiche da una stanza all'altra fino al giardino, orto concluso, stanza all'aperto.
Il giardino come interno diviene luogo recondito e appartato, al riparo dagli estranei, recinto circoscritto entro i confini del mondo domestico. Il paesaggio minimo vi trova rifugio.
Ecologia della casa e del paesaggio
Qualificare il paesaggio con l'aggettivo "minimo" non introduce solo una dimensione quantitativa, un limite di superficie, ma chiama in causa, ancora una volta, l'arte.
Il Minimalismo, l'Arte Concettuale, l'Arte Povera e la Land Art condividono alcuni temi - il ruolo affidato all'esperienza, la semplificazione delle forme e dei processi - pur divergendo sulle modalità con cui il soggetto entra in relazione con la vita. Concentrandosi sull'analisi dei processi cognitivi o intensificando il dato esistenziale e fisico dell'esperienza mettono in luce la dimensione oggettiva da un lato, soggettiva dall'altro, del rapporto tra il se e il mondo.
Visto attraverso una lente soggettiva, il termine "minimo" cela la fragilità di un spazio poetico legato al tempo e al divenire. Il minimalismo è la ricerca di uno stato di equilibrio, raggiunto il quale non è più necessario intervenire, per addizione o sottrazione, perché il processo avviato o l'oggetto prodotto continui a sopravvivere (9). Condizione teoricamente immutabile, implica più che un vuoto o il nulla il raggiungimento di una stasi, di uno stato di armonia, di un climax (10).
Tanto nella casa quanto nelle comunità vegetali esistono stadi di equilibrio. L'interno domestico è il luogo delle certezze, rifugio rassicurante in cui conservare le cose per ritrovarle. Il paesaggio minimo e il paesaggio domestico, tuttavia, appartengono a questa condizione fino al sopraggiungere di un evento perturbante. L'intromissione dell'estraneo, alterando l'ordine costituito, produce effetti reversibili se la sua azione è temporanea, azzera il processo riportandolo all'inizio se la perturbazione è persistente e condotta da un individuo dominante, produce un ibrido e infine una nuova convivenza tra entità autoctone e straniere se le forze in gioco si bilanciano (11).
Entro i confini dello spazio domestico si compie allora un esperimento, le cui variabili non sono così dissimili da quelle che determinano l'evoluzione del paesaggio. Per questo i due orizzonti, domestico e naturale, si compenetrano senza ostilità (12).
Ambito d'elezione della relazione viva e in divenire tra spazio domestico e paesaggio è il pittoresco: ad uno spirito pragmatico e individualista - si pensi alla english house del XIX secolo - corrisponde una dimora contraddistinta da crescita nel tempo per accumulazione, per addizione di elementi imprevisti, cambi di scala, variazioni su un tema. Tutto ciò si traduce in un sostanziale disinteresse per la forma a priori, nell'inclusione della natura, nella coabitazione serrata di ambiti e funzioni diverse, nella ricerca di intimità e comfort.
Esperienze a confronto (13)
Nell'architettura del novecento sono molteplici gli episodi in cui abitare e paesaggio alla scala domestica hanno trovato un terreno fertile di incontro. Dal pragmatismo della casa suburbana inglese di fine '800, studiata e rielaborata in Austria da Adolf Loos attraverso il raumplan, alla sommessa casa nordica degli anni tra le due guerre (Aalto, Asplund), del secondo dopoguerra (Ervi, Knutsen) e degli anni Sessanta (Lund, Selmer), alla sottaciuta sensibilità ecologica della scuola di Porto (Tavora, Siza, Souto de Moura), ai muri abitabili di Khan e alla sintesi di villa Ottolenghi. A volte casi isolati, altre esiti di una sensibilità e di un'attitudine regionale comune, essi sono testimonianza di un saper fare che si è posto nei confronti del paesaggio naturale rispettandolo e accogliendolo nella costruzione.
Non è qui significativo ricostruire i legami tra le singole opere e la storia dell'architettura o mettere in luce l'esistenza di scuole o ambiti geografici di comune appartenenza, pur presenti, quanto scorgere, osservando gli esiti costruiti, caratteri e modalità di pensare lo spazio peculiari di una sensibilità verso il paesaggio domestico e naturale insieme.
La relazione con il contesto, lo studio paziente della topografia e del clima, l'impiego di tecniche costruttive semplificate, di materiali disponibili localmente e di elementi costruttivi poveri, la predilezione verso la materia grezza e non finita, la presenza di interstizi dove trovano riparo le piante fanno di questi manufatti precedenti virtuosi a cui guardare come esempi in grado di ospitare il paesaggio minimo e porsi rispetto ad esso in modo non invasivo, conservandone i caratteri.
Nessuno di questi manufatti è mimetico perché non è la mimesi formale a risolvere la relazione tra ambiente e costruito. (14) Essi sono costruiti dall'uomo che attraversa un luogo, lo misura, vi dispone, adattandovisi, un manufatto che diventa così riflesso dell'ambiente.
Si tratta di progetti in cui la matrice culturale sovranazionale costituita dall'insieme di influenze, scambi e rimandi propri di uno sguardo aperto a un contesto più vasto si è radicata localmente senza imporvisi. Pratiche e saperi che hanno guardato il patrimonio di conoscenze comune a partire da se stesse, da esperienze e consuetudini regionali.
Attese
Se la minuta trama di paesaggi in ambito urbano rappresentano una risorsa per il progetto contemporaneo quale città e quale architettura possono meglio esprimerli?
A partire dall'osservazione di casi circoscritti alla dimensione domestica e al suo immediato intorno è possibile riconoscere e promuovere una diversa attenzione anche verso lo spazio pubblico, promuovendo azioni coerenti con il contesto locale e a basso costo rispetto all'immagine del giardino ornamentale, alle sue frequenti banalizzazioni e semplificazioni.
Le azioni possibili si collocano tra conservazione ed espansione: salvaguardia dei corridoi ecologici esistenti, formazione di ambiti ecologici in continuità tra loro ed estesi ai contesti di formazione recente e privi di qualità, previsione di substrati adatti all'insediamento delle comunità vegetali, inclusione nei nuovi manufatti di superfici orizzontali e verticali atte ad ospitare la flora locale. Condizioni necessarie per la loro diffusione sono una pianificazione attenta a riconoscerne i tempi lenti di formazione e riproduzione e una progettazione architettonica meno concentrata sulla forma e più sui processi e le relazioni di interdipendenza con il contesto locale.
I paesaggi minimi, insieme al Terzo Paesaggio e al Pasaggio in movimento formulati da Gilles Clement, portano ad interrogarsi sul fatto che non esiste un "paesaggista" perché il paesaggio si evolve anche senza un intervento diretto, non disinteressato, dell'uomo. In fondo tutto ciò non è poi così insolito. Era prassi quotidiana, prima della diffusione di massa del florovivaismo, dei giardini decorativi e dell'urgenza di un riequilibrio nei compromessi ecosistemi urbani, lasciare a riposo i campi lasciandovi crescere le graminacee spontanee, conservare le ortaglie, la vegetazione riparia lungo le sponde dei canali irrigui, le siepi tra un podere e l'altro, i muretti a secco a delimitare i broli. Ciò che si richiede per innalzare la presenza del paesaggio nel costruito è semplicemente l'aver previsto uno spazio per il suo insediarsi. Nulla di più.
Di fronte all'evidenza che il nostro orizzonte geografico, dalle riserve naturali alle aree metropolitane, sia un'entità interamente condizionata e trasformata dall'uomo, includere l'involontario, lasciare un margine all'indecisione o non fare assolutamente nulla presuppone l'esistenza di divulgatori persuasivi e di una volontà di progetto. Tenendo sullo sfondo le definizioni più o meno trascinanti del termine paesaggio, predisporre un luogo, lasciarvi entrare il caso - la vita - cedendo una parte del proprio ambiente al verificarsi di un fenomeno imprevisto, seppur minimo, significa assistere, con un certo stupore, all'allentarsi delle proprie convinzioni deterministiche e del proprio desiderio di controllo.
Albert Viaplana Veà descrive così la propria attitudine: "la mia idea di architettura deriva dalla convinzione che l'architetto è soltanto colui che prepara i luoghi affinché le cose avvengano". (15)

(1) Italo Calvino, Savona: storia e natura, in Saggi, Mondadori, Milano 1995.
(2) Negli ultimi decenni il binomio costituito dalla casa suburbana, isolata o a schiera, e dal prefabbricato produttivo/commerciale diventa un modello diffuso e pervasivo. La sua natura introversa e recintata, la povertà del suo intorno privato e pubblico, costituiscono l'orizzonte dell'urbanizzazione contemporanea italiana (Arturo Lanzani, I paesaggi italiani, 2003). Alla rigidità di questi due formati si sovrappone una sempre più capillare pubblicistica non specializzata che, proponendo modelli e stili senza contestualizzarli, contribuisce a formare un nuovo immaginario, disegnando l'immagine stereotipata di uno spazio-oggetto, veicolo di comunicazione di uno status che si sostituisce così ad un vissuto reale.
(3) Durante un'intervista Alvaro Siza ricorda il progetto di un collega che, incaricato di intervenire in un piccolo abitato rurale per costruirvi un edificio pubblico, decide di frammentare il volume in una serie di corpi più piccoli, per armonizzarlo con il contesto. Episodio rivelatore di una debolezza del nostro tempo, non più capace di riconoscere l'esistenza di una misura appropriata a ciascuna funzione.
(4) Andrea Palladio, Villa Emo a Fanzolo, Treviso.
(5) Alois Riegl, La Stimmung come contenuto dell'arte moderna, in Teoria e prassi della conservazione dei monumenti, a cura di S. Scarrocchia, CLUEB, Bologna, 1995, p. 136, nota.
(6) Paesaggi minimi è una ricerca sui paesaggi urbani a piccola scala ideata nel 2007 da Renato Ferlinghetti e promossa dal Centro Studi sul Territorio dell'Università di Bergamo. Nel 2009 collaborano alla ricerca Davide Pagliarini (architetto) e Gianluca Agazzi (naturalista), affiancando agli studi sui caratteri geografici e storico-identitari dei paesaggi minimi (Ferlinghetti) un'indagine floristica e fotografica su una sezione di paesaggio nell'area urbana di Bergamo. A quella esperienza ha fatto seguito uno studio, attualmente in corso, sulla relazione tra progetto di architettura e habitat di pregio naturalistico, a cui appartiene il presente contributo.
(7) Umberto Pasti, Giardini e no. Manuale di resistenza botanica, Bompiani, 2010.
(8) Gilles Clement, Manifesto del Terzo Paesaggio, Quodlibet, p. 7.
(9) John Pawson, Minimum, Phaidon.
(10) Nelle Scienze Naturali, condizione di equilibrio di un ecosistema.
(11) "Il giardino non va incontro a incidenti. Solo le costruzioni dell'uomo vanno incontro a incidenti. La natura conosce cataclismi. E dopo, cicatrizza". Gilles Clement, Il giardino in movimento, Quodlibet, 2011. 
(12) "I recessi dello spazio domestico diventano i luoghi delle invasioni più intricate della storia. In questo ordinamento, i confini tra la casa e il mondo si confondono e, misteriosamente, il privato e il pubblico diventano parte gli uni degli altri" (Homi K. Bhabha, Unhomely lives: the literature of recognition, in The location of culture, p. 13, cit. in Iain Chambers, Le fondamenta disturbate e il linguaggio degli habitat infestati dai fantasmi, paper alla conferenza internazionale Cento case per cento architetti europei del novecento, Triennale di Milano, ottobre 2001).
(13) Per un approfondimento sulle analogie e continuità tra i paesaggi minimi e alcuni approcci alla progettazione architettonica e del paesaggio si si rimanda a Davide Pagliarini, Fare paesaggi minimi, in Iconemi, atti del convegno, Bergamo, 2010 e Ark n. 1, 2010.
(14) "Il meccanismo di mimesi, determinato da fattori biologici e funzionale alla sopravvivenza della specie, si attua secondo un principio di economia ed equilibro necessario al progredire dell'insieme di popolazioni che abita l'ecosistema. Seguendo questo principio, l'arte e l'architettura, lontane dall'essere l'esito di un processo mimetico determinato da intenti arbitrari, sono innanzitutto dispositivi rivelatori di risorse ed energie latenti, che le pongono in una posizione di complementarietà rispetto al sistema ecologico, a cui sono tuttavia subordinate. La tecnologia, ad esse intimamente correlata, anziché svincolare l'uomo dalla natura, ne afferma la dipendenza" Davide Pagliarini, Gianluca Agazzi, Glossario di Ecologia, 2008.
(15) Albert Viaplana Veà, conversazione con Juan José Lahuerta, Casabella n. 655, aprile 1998.
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